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L'Adige

A legare due progetti musicali come quello dei Madrigali Magri e dei Chevreuil è il filo sottile dell'inquietudine. Un'inquietudine che attraversa in maniere angosciante le composizioni dei Madrigali e in modo più nevrotico quelle del gruppo francese.

Anche per questo il concerto di domenica sera al Teatro alla Cartiera di Rovereto ha offerto momenti di grande intensità emotiva ad un pubblico che ha assistito al concerto seduto sul palco attorno ai musicisti con il sipario che isolava tutti dal resto del teatro vuoto.

Giambeppe Succi in questa occasione si è presentato da solo offrendo una dimensione, se possibile, ancora più alienante di quello che sono i Madrigali Magri.

Una chitarra a tratti urticante ha marcato liriche che trovano nella loro disperazione quotidiana una funzione precisa. In frasi come "tutto è assurdo" e "esserci non è facile" si trovano le sensazioni di una profonda ricerca di anime che porta poi, come uno specchio, alla scarnificazione estrema dei suoni.

Mentre la voce rauca di Succi esprime sincera sofferenza il loop della chitarra crea un manto ipnotico di campionamenti che ti avvolge sullo sfondo di immagini che passano come gli istanti della vita. Una cupezza ed è quello che ci ha colpito nei Madrigali Magri, che non è mai fine a se stessa ma è piuttosto voglia di urlare, urlare in silenzio davanti al silenzio ossessivo degli dei.

[...]

taxi driver http://www.taxi-driver.it/

I Madrigali Magri ci regalano la colonna sonora della piece teatrale "L'Avaro". Regalano in tutti i sensi. Basta andare nel loro sito ufficiale e scaricarla. Le canzoni sono senza diritti, possono essere suonate e risuonate senza che la SIAE vi stressi.

Onore all'operazione. Ma, se fosse cattiva musica, probabilmente ce ne saremmo fregati.

E invece, ci troviamo di fronte a poco meno di 20 minuti di suggestioni, immagini, suoni che sembrano frammenti di un qualcosa di grande, forse troppo grande per essere capito. Ma il gruppo si focalizza su queste piccole cose, minimali verrebbe da dire, ma suggestionanti e molto intime.

Chissà come sarà stata la piece, ma se allo stesso livello della musica, indubbiamente un piccolo capolavoro.


Canzoni significative: tutte
Voto: 5

Dale P.

 

Alternativezine http://www.alternatizine.com/

Che disco malato è “Malacarne” dei Madrigali Magri! È la malattia cronica che potrebbe essere associata all’alcolismo, una malattia che ha che fare con la solitudine. La colonna sonora di questa solitudine è ambientata nell’ipotetico viaggio notturno, nebbioso o piovoso, poco trafficato, svogliato in una strada sterrata del nord che magari collega il Piemonte al mare, attraversando campagne e paesi abitati solo da cani randagi.

La musica dei Madrigali Magri si coglie tra le note, nei silenzi, nelle pause. I battiti sono sempre irregolari, la musica è ossessivamente muta, cerebrale, tempi senza tempo, melodie senza note. Gli accenni pop, che hanno a che fare forse più con il blues, sono sempre zittiti dai lamenti degli strumenti che vivono e agiscono in solitudine, indipendenti, come la voce che sussurra dei descrittivi testi tra il paranoico rassegnato e il beffardo. Gli episodi migliori li ho individuati in “Blues Jesus” e “Tersila”, forse perché da profano mi lascio attrarre di più dai tempi che fanno pace con se stessi e con l’ascoltatore non abituato a simili sonorità disordinate. Riconosco comunque in tutto “Malacarne” le impronte rumorose delle chitarre, strette parenti del noise più estremo ed è quello il mio punto di partenza per codificare la comunicazione musicale dei tre piemontesi. Arrivo poi a comprendere le dilatazioni minimali di suoni e ritmiche che assomigliano più a produzioni elettroniche (mi vengono in mente i Matmos, ma non è affatto il mio campo) che strumentali. Infine come punta dell’iceberg colgo la voce, che punta nel ripetere dei termini non proprio casuali come “alba”, “bianca” o “strada”. Geniale poi la traccia “Bianca” che non c’è ed il motivo è nel testo.

La Wallace Records di Mirko Spino, sa sempre dove puntare il dito: Zu, Anatrofobia, R.U.N.I., Tasaday, One Dimensional Man e Old Time Relijun su tutti (per i miei gusti…). Non è un caso che questo terzo lavoro dei Madrigali Magri sia editato da questa grande etichetta.

Zurdano

 

 

RockShock http://www.rockshock.it/

Difficilissimo forzare nella gabbia dei generi i Madrigali Magri, autori dello spettacolare Negarville di due anni fa ed attesi con un mini di imminente pubblicazione.

Ma ora è il tempo di godersi questo Malacarne, 37 minuti in cui il terzetto parte in acustico per poi affrontare i più convenzionali territori della forme canzone, giusto pochi attimi, salvo letteralmente esplodere e fuggire verso derive infinite.

Un viaggio in musica tra angoscia, dolore, peccato.

Un excursus nei meandri delle emozioni trasformate in blues malato, post-rock perduto, cenni di jazz, suoni di chitarre dissonanti, indolenti colpi di batteria.

Una tensione quasi palpabile è presente in tutto l'album e il miracolo di queste musiche è che riescono ad adattarsi all'ascoltatore ed al suo stato d'animo, esaltandone le componenti più macabre, anche se recondite, in un raddoppio del senso d'inquietudine profuso dalla musica stessa, come in un miracoloso gioco di specchi.

Con il buio a farla da padrone, gli spettri evocati da quest'album faranno felici gli amanti delle atmosfere alla David Lynch, gli adoratori del peccato, gli esploratori delle tenebre dell'animo umano (o più semplicemente del proprio).

8/10

(Massimo Garofalo, 4 novembre 2002)

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Post? http://www.post-itrock.com

Terzo disco per i Madrigali Magri che loro stessi presentano, spero in modo ironico, come un lavoro più "cantautorale". L'impressione che si può trarre da "Malacarne" in realtà riporta a tutto ma non certamente al cantautorato.

La personale "via crucis" di Giambeppe Succi e soci ritorna nei testi, in linea con la migliore letteratura depressa e con quel rock-sperimental-cantautorale (dura inventarsi le definizioni) che sembrava ormai esaurito e che potrebbe ricollegare idealmente il combo piemontese a Fausto Rossi (Faust'o ricordate?) ed ai Massimo Volume. A scanso di equivoci diciamo subito che i Madrigali hanno la capacità indubbia di essersi costruiti un loro stile e di non sembrare il verso patetico dei gruppi menzionati in precedenza.

Il disco è decisamente meno melodico e più sbilenco di "Negarville", anche se graziato da una produzione appropriata (se non sbaglio la stessa di "Lische"). Sinceramente credo che le tracce migliori siano proprio quelle in cui i piemontesi si concedo maggiormente alle linee melodiche.

"Nuovo casa" ad esempio è una brevissima perla per chitarra, voce e glockenspiel, "Era" piacerebbe tanto ai Sonic Youth se suonassero come alcune cose più rarefatte di Ranaldo e dulcis in fundo "Alba" potrebbe essere la colonna sonora perfetta per la vostra depressione di domenica mattina. Credo che "Malacarne" sia un buon disco, anche se sinceramente non ai livelli di "Negarville" (che nonostante la registrazione considero la punta più alta toccata dal gruppo).

Piacente o nolente i Madrigali Magri mantengono in vita una teatralità del rock che generalmente o si ama o si odia e se non capite cosa intendo dire andateveli a vedere dal vivo, anche ora nella loro più recente versione "one-man-band". Se Succi solista rispetto al modulo del disco risulta meno eterogeneo, dalla ripetitività delle sue chitarre effettate e dai soggetti "domestici" delle sue diapositive riemerge tutta l'ossessività che è una delle caratteristiche dominanti del gruppo.

Ics

 

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Miuzik http://www.miuzik.it/

charts (marzo 2003)

::::ITALIA Albums::::
1-Madrigali Magri-Malacarne-Wallace
2-Afterhours-Quello Che Non C' E'-Mescal
3-Gea-Sss...Blam!-Santeria
4-Anatrofobia-Le Cose Non..-Wallace
5-Perturbazione-In Circolo-Santeria
6-Marco Parente-Trasparente-Mescal
7-Ronin-Ronin -Bar la Muerte
8-Subsonica-Amorematico-Mescal
9-Votiva Lux-Solaris-CYC
10-Gatto Ciliegia Contro Il..-It Is-Santeria



 

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Hilo Tunez
Deya

Terzo lavoro per i Madrigali Magri, re incontrastati del cripticismo estetico. Nessuno è in grado di fare album come i loro (o forse lo sono ma non hanno le palle per farlo).

Non ho mai trovato nulla di più lento, profondo ed angoscioso della musica dei Madrigali Magri e della voce di Mr. Succi.

In questo nuovo album penso che la band piemontese abbia perso un po' del suo potere evocativo. Non voglio parlare ancora di 'Lische' ma per spiegarmi meglio vorrei fare un paragone con 'Negarville'. In poche parole, ascoltando 'Negarville' si ha come l'impressione che qualcuno stia arrivando per ucciderti molto lentamente.

Ho tutt'ora paura quando ascolto quel disco, forse non è una buona cosa per un album, ma nell'essenza del suo spirito era un capolavoro di arte contemporanea. 'Malacarne' non riesce a trasmettermi le stesse sensazioni (questa è l'unica pecca), forse è dovuto alla produzione del disco... ...non lo so.

Probabilmente le mie orecchie hanno creato degli anticorpi ad oc' contro l'impressionante potere lobotomizzante di questa band. Potete aver ascoltato i primi lavori di Smog, Microphones, Beans, Supremedicks, ecc... ...scegliete tra tutta la scena minimale internazionale ma non troverete qualcosa di simile.

Ho parecchie difficoltà a farvi capire le sensazioni che si provano ascoltando i loro dischi. se pensate di essere pronti per fare questa esperienza, potete solo comprarli da Wallace Records.

L'unica cosa che mi dispiace è che chi non capisce l'italiano si perderà il piacere di confrontarsi con le liriche di Giambeppe, uno degli ultimi poeti perduti, che fa dell'ermetismo il marchio della sua dialettica.

(ps: dal vivo sono imperdibili!!!).

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Hilo Tunez [ english version ]
Deya

Third work for Madrigali Magri; they are kings of cryptic aesthetics. Nobody is able to make records seems like this Italian band. Nothing is slow, deep and distressing like the music of Madrigali Magri and the voice of Mr. Succi. In this new album I think Madrigali Magri have lost some of their evocative moods.

I don't wanna talk about of their first 'Lische' but I wanna say something more, then my previous review, about 'Negarville' to explain what I think about Madrigali evolution. In few words if you can listen to 'Negarville' you can have the impression that someone still coming to kill you slowly.

i'm afraid to listen this album maybe is not good think but it was a suprime artwork... ...you know? 'Malacarne' is not able to touch my ego like the previous, maybe is caused by production... ...I don't know really.

Probably my hears have found true defences to the impressive lobotomizing power of this band (this is the only fault). You can have heard first album of Smog, Microphones, Beans, Supremedicks, etc... ...everything you can choose into the world minimal scene is nothing! is pop music!

I have some difficulties to tell you which is the true feeling you can have, hearing their albums. If you think to be ready to try this incredible experience you can just buy their discography to Wallace records.

I have been sorry, for not italian people, that cannot understand Giambeppe's lyrics because he's one of the latest obscure lost poets.

(ps: on stage their fuckin' cool!!!).

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Sans Tambour ni trompette
Erwan

Ce "Malacarne" de MADRIGALI MAGRI est leur deuxième sortie chez WALLACE... on connaissait déjà la mixture précédente, lenteur et douceur des propos, fan d'un TOM WAITS qu'aurait privilégié le repli sur soi comme anesthésié, limite en âge, dans des ambiances lourdes facon chaleurs caniculaires d'un désert espagnole !

Lent, MADRIGALI MAGRI l'est toujours, un pou à 30, des guitares tendues, des doigts qui tapent les cordes, qui préfèrent la sueur et la chaleur épuisante que la rouille fraiche de l'humidité hivernale... l'ambiance créé le post rock, la voix sussurée, la guitare s'y met, n'hésitant pas à utiliser la distorsion avec parcimonie, l'atmoshère reste rock mais le style est "post" et leur univers des plus précieux... longs morceaux aux chemins sinueux, utilisant aussi bien l'acupuncture que le régime sec, les italiens jouent sur l'espace sonore, le cachet est certain, l'ambiance des plus équivoques... des noms, ah des noms... GORGE TRIO en lent ? ca mettra la puce à l'oreille mais sachez en tout cas que ce nouvel opus, écouté à un volume décent, fait chez moi l'effet d'une bonne glace bien fraiche en plein été... euh... ca sent la sueur, ' trouvez pas ?

très bon !

PLAYLIST STNT
Dernière mise à jour / Updated : 05/03/03


GRAND ULENA : Gateway To Dignity (Family Vineyard Records)
LIGHTNING BOLT : Wonderful Rainbow (LOAD)
CHEVAL DE FRISE : Fresques Sur Les Parois Secrètes Du Crâne (Ruminance)
DILUTE : Grape Blueprints... (54°40 Or Fight !)
MADRIGALI MAGRI : Malacarne (Wallace)
XIU XIU : Apromise (5RC)
DEERHOOF : Apple O' (5RC)
CHEVREUIL : Chateauvallon (Ruminance)
ROBOCOP KRAUS : Living With Other People (l'age D'or)
NATURAL DREAMERS : S/t (Frenetic)

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Sodapop
Emiliano Grigis

"Un'altra magra alba sorride da stronza al mio andare da cieco": terzo tassello nel percorso dei Madrigali Magri, itinerario non solo musicale ma anche poetico-narrativo: partiti dalle Lische, schegge dissonanti di malessere interiore, passati attraverso la oscurissima e inquietante Negarville, ci troviamo ora al cospetto della Malacarne.

I paesaggi sono il fulcro di musiche e testi, non-luoghi, atmosfere della mente: "il conto che non é mai chiuso torna a fissarti negli occhi... come il sole buca i muri... in certe case di campagna dove il tempo va in rovina"; i versi piú che cantati sono sussurrati dalla voce di Giambeppe, accompagnato dalla sua sei corde e da basso e batteria.

Atmosfere rarefatte, chitarre maltrattate con sapienza ed originalitá, testi introspettivi e forti: il marchio di fabbrica c'é sempre tutto, ma ogni volta la magia (nera come la peste) si rinnova, lasciando spazio a nuove sfumature: i Madrigali Magri vedono piú pop nei contenuti di questo disco, io ben poco, forse un paio di aperture sonore meno cupe che nel Negarville, anche se straboccanti di malinconia, come la splendida Alba.

In fondo al disco c'é Bianca, vera e autentica ghost track: il brano, anche se indicato, non esiste del tutto, ma rimane il suo testo, ad indicarci che "per sempre una pagina avanza e una pagina manca".

Si puó narrare con tanta precisione agendo per sottrazione estrema? "Quando il sole sbuca e la sterpaglia fuma, nessuno al mondo sa piú dove sta di casa".

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Succo Acido
Andrea Giuliani

Terzo disco per i Madrigali Magri, tutti direbbero il disco decisivo, forse, in ogni modo un bel disco, anzi un bellissimo disco di post-rock catacombale e "rurale", fatto di suoni scarni, no scarnissimi, e di un blues rarefatto che si mescola con la psichedelia dei 60', come ad esempio nel brano "Devil did"; ma fatto anche di sussurri, voce non cantata ma parlata in quasi tutti brani, come nel precedente album Negarville, una voce originale e particolare che sembra anche mostrare segni evidenti d'agonia e frustrazione repressa...e anche un po' di blasfemia, come ad esempio in "Blues jesus".

"Tersila" incredibilmente mi fa ritornare in mente i mitici Rapemen di Steve Albini e anche gli Helmet, ma il sound noise qui è svuotato e ricco di silenzi. In pezzi come "Nuova casa" e "Alba", è recuperata nella voce un po' di melodia, grazie anche agli splendidi arrangiamenti di chitarra acustica.

Il tutto è racchiuso come al solito dallo splendido artwork che arricchisce da sempre i lavori della Wallace: fotografie stupende di paesaggi rurali e stradali, notturni... non so dove questi siano, ma mi sento a casa.

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Kalporz
Raffaele Meale

Un album che respira, quest'ultima fatica dei Madrigali Magri, terzetto piemontese attivo fin dal 1994 e con alle spalle due lavori: l'autoprodotto "Lische" e l'ottimo "Negarville", uno dei migliori album italiani degli ultimi anni, che ha creato intorno al gruppo un'attesa probabilmente del tutto inaspettata (anche se sempre fra i pochi appassionati curiosi che spostano l'occhio dalle solite, ripetitive realtà).

"Malacarne" è una degna prosecuzione di "Negarville", su questo non ci sono dubbi. Il nero, colore musicale predominante di questo strano combo, è ancora la caratteristica principale, ma inteso non come negazione della luce, bensì come insieme dei colori, in questo opposto al bianco (negazione del colore). Il suono, energico attanagliante e profondo è stilizzato, spezzato, improvvisato.

Un approccio emozionale alla musica, che riesce nell'intricato vortice della dissonanza e dell'estemporaneo a produrre comunque melodia: minimale magari, ma melodia. Difficile cercare di focalizzare l'identità sonora della band: diciamo per semplificare che all'ascolto il tutto appare come un crocevia folle in cui si incontrano le sperimentazioni di John Cage - perché il cosiddetto post-rock nasce prima del post-rock -, la libertà espressiva di Tom Waits (cercatelo, nascosto sotto il velo delle distorsioni, e lo troverete), la poetica introspettiva e malinconica di Nick Drake e un po' di musica contemporanea - un po', sparpagliata -.

Innegabile che l'album, dopo un inizio duro e coerente (e sul quale spicca lo splendido strumentale di "Orco boia") raggiunga il suo apice concettuale nella stupefacente "Onda dura", dieci minuti e una manciata di secondi di perdita di coscienza, abbandonarsi ai flutti, come dopotutto ispira il testo ("Una minuscola vela può sapere dove andare, ma una minuscola vela contro la misura del mare era bianca all'alba").

E proprio da questa frase finale prendono vita i tre brani conclusivi che concludono un album in fin dei conti già concluso, e che assumono anche per questo una valenza ulteriore.

Laddove l'album era nato e si era evoluto nell'oscurità calda, malefica e protettiva di "Malacarne", ora si assiste in bella sequenza a "Era", "Alba" e "Bianca". "Alba" sfodera uno struggente arpeggio acustico e una voce/eco/con riverbero che annuncia "un'altra magra alba sorride da stronza e soffia tutto via"; "Bianca" è semplicemente la traccia che non esiste, la pagina bianca su cui nessuno scriverà mai, perché "per sempre una pagina avanza e una pagina manca".

Un album che bisogna avere, secondo me. Un album che non si può far a meno di avere, tutto qui.

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Rockerilla (settembre 2002)
Maurizio Marino

Il suono di quest’album non ha niente a che spartire con la luce. Sarebbe impossibile scrivere la recensione di “Malacarne” nel pieno del giorno, con il sole battente, il cielo azzurro e le macchine che passano per strada: meglio rinviare le parole, dunque, al cuore della notte e alle ben più consone ore antelucane, quando il suono ha finalmente la possibilità di spandersi per la stanza aereo e circolare, senz’altri rumori aggiuntivi se non quelli, naturali, di una gentile brezza estiva o di uccelli notturni che cantano in solitudine poco lontani dalla mia finestra.

Pervaso di umori vivi, volutamente frammentari, che spandono le loro idee sonore sull’agitarsi-distendersi delle chitarre, sul palpito sferzante delle percussioni, su una voce dolente ma rassegnata che ha un’anima in comune con il blues, “Malacarne” potrebbe essere un concept album sui sentimenti inesprimibili che ci avvolgono in quella particolare situazione di confine tra il sonno e la coscienza che viene definita dormiveglia.

O forse potrebbe essere la colonna sonora di un film senza dialoghi e in soggettiva dove vediamo qualcuno che guida nella notte percorrendo strade sterrate, curve di montagna e paesaggi appena distinguibili dal buio dove non si vede anima viva. Oppure ancora potrebbe essere qualcosa che avevamo sotto gli occhi da sempre ma che non riuscivamo ad osservare e ci limitavamo a vedere senz’alcun trasporto emotivo.

Quel che è certo, però, è che “Malacarne” colpisce nel profondo, e fa male. Proprio perché nei 37 minuti di quest’album non c’è un solo attimo di certezza: sembra quasi che le canzoni, ad un passo dal loro definitivo compimento (una seconda strofa? Un ritornello?) decidano improvvisamente di fermarsi, quasi ad eternare un momento che non può né deve più ripetersi.

Ecco dunque un disco che è l’essenza stessa dell’essenzialità: un inno alla musicalità disadorna, che rinuncia ad ogni abbellimento per farsi scarno, ascetico, angoscioso dramma sonoro.

Un disco difficile ma anche – paradossalmente – semplicissimo.

[ intervista ]

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Blow Up (settembre 2002)
Daniela Cascella

Terza tappa per i Madrigali Magri a due anni da “Negarville” ed è di nuovo stupore.

Prima c’erano stati i canti di solitudine (o meglio, di isolamento), l’incolmabile tensione, le melodie sommesse e deformi, le danze trasfigurate e l’indugiare delle parole di “Lische”.

Poi gli slabbramenti e i frammenti astratti di “Negarville”, con i suoi abbozzi chitarristici dilatati che disegnavano una geografia distorta, lo spleen dei non-luoghi, pezzi intrisi della pigrizia agrodolce di certi giorni di metà estate.

Adesso “Malacarne”, concentrato intensissimo e vissuto di canzoni incise in una materia sonora scura e profonda, dalle tonalità decisamente più fosche rispetto al “rosario delle cose note” di “Negarville”.

O meglio, dove quest’ultimo indagava il mistero che si cela nell’ordinario e nel quotidiano, il nuovo album si apre nel segno di qualcosa di incommensurabile, della trascendenza di forze più grandi: Devil Did è il titolo del pezzo strumentale d’apertura, e subito il suono ferisce come forse mai aveva fatto prima, con una batteria in primo piano a disegnare uno scheletro avvolto dalle trame trasparenti della chitarra.

Il diavolo e la religione: le suggestioni del blues più maledetto (“io sono il male”) nella malata e narcolettica Blues Jesus, in cui le parole sono impastate e diventano fantasmi, suggestioni, accenni e sussurri di un cuore trafitto.

E se in “Lische” il cuore era uno “stupido muscolo cardiaco” che “non sa tenere il tempo”, in “Malacarne” le canzoni sembrano essere basate proprio sul battito di un cuore sanguinante: le percussioni si fanno prominenti e diventano elemento portante, come accade in Orco Boia, una convulsione strumentale ed un conflagrare di elementi in cui la batteria pesante e corposa dà l’idea del crollo.

Oppure in Tersila, scandita da un ritmo spezzato e incisivo, urlata, con una chitarra che si sfalda per passare all’ombra di Onda dura, dieci minuti aperti da un battito su cui si fa strada una narrazione, si nasconde momentaneamente e ancora riappare dolorosa; poi la musica si sfalda di nuovo e si astrae in pulviscoli leggeri ed eterei per riallacciarsi finalmente in scaglie di suggestioni mai definite ma evocate, confluendo quasi naturalmente in Era, un brano angoloso in cui la voce ubriaca è contornata da grappoli di note alte e dagli arpeggi della chitarra, a colorare beffardi un incedere cupo.

Fino a chiudersi in Alba, inno quasi campestre che suggella una promessa come già accadeva nei ricordi trasposti di Nuova casa.

Pur trattenendo alcune suggestioni degli album precedenti, “Malacarne” non concede nulla alla ripetizione o alla maniera ma segna un’ulteriore ed emozionante diramazione del suono dei Madrigali Magri. (8)

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02 (settembre 2002)
Andrea Cazzani

Se i Madrigali Magri inviassero questo loro album a David Lynch (cosa che consiglio loro di fare), li sceglierebbe per la colonna sonora di un suo prossimo film.

Non tanto per le canzoni (Badalamenti si incazzerebbe di brutto), che in questo disco ci sono e non ci sono, accenni melodici inseriti in minuti e minuti di escursioni sonore notturne e psicologicamente disturbate.

Per le atmosfere, appunto, suoni d'ambiente che calano l'ascoltatore in un incubo sempre più profondo e non ben identificato.

Ecco quanto si può inquietare senza fare troppo casino con gli strumenti ma mettendo a nudo i fantasmi che si annidano nelle nostre menti. Grandissimi. La malattia della provincia.

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Rumore (settembre 2002)
Andrea Pomini

Rarefatto è la parola, e chi conosce il trio di Nizza Monferrato sa benissimo a cosa ci riferiamo. Le chitarre aspettano che si esaurisca l'ultima eco prima di suonare nuovamente, la voce recita un sussurro quasi impercettibile e gli spazi sono vuoti, riempiti da occasionali squarci distorti o percussivi.

È un lavoro difficile e suggestivo, Malacarne, in cui quasi-improvvisazioni senza apparente costrutto convivono con canzoni che cercano di esserlo, e che forse sono quanto di più canzone i Madrigali Magri possano darci. Il rischio corso è che molto sembri abbozzato e persino casuale: più che tensione controllata sempre sul punto di esplodere, quella creata dai tre pare tensione un po' fine a sé stessa. Ci si chiede dove stia portando e alla lunga passa pure senza inquietare troppo.

Ma particolari e sfumature col tempo emergono, svelando soprattutto l'hard rock scarnificato di Tersila, l'andamento ripetitivo di Blues Jesus e le movenze che se costretti potremmo dire blues di Era, fino all'elegiaco finale di Alba.

 

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Kronic.it (ottobre 2002)
Marco Desolato

Una notte vorrete fare un giro in auto, da soli, magari fra novembre e dicembre, con una leggera nebbia ed un cielo che non mostrerà nessuna nuvola. Partirete senza una meta precisa, ma di certo vi dirigerete in una zona collinare, su una strada in cui difficilmente incontrerete altre macchine. Vedrete solo abitazioni sparse e, forse, un bar di altri tempi. Avrete bisogno di musica, ma dovrà essere una musica intensa e dolorosa, abile nello sfiorarvi prima lievemente, in seguito farsi più spigolosa, quasi ruvida, per poi fingere di scomparire. Sarete in un film con un solo protagonista. E la colonna sonora saranno i Madrigali Magri.

Avrete bisogno di tempo per pensare, dovrete concentrarvi. Occorreranno suoni diradati, a tratti impercettibili, che vi stimoleranno con istanti ostici e densi di tensione. La voce sarà un complemento, sembrerà quasi superflua all’inizio, ma alla fine si rivelerà indispensabile nel riempire spazi volutamente vuoti. La batteria sarà un cuore che batte con pigrizia, con imprevisti rischi di tachicardia. Le chitarre saranno suggestioni inquiete, pronte a ferirvi in una lenta agonia. Mentre “Malacarne” scorrerà sentirete il bisogno di accenni melodici e, incredibilmente, a tratti, li incontrerete. Sarà un attimo, però, non si realizzerà mai una “canzone” e ripiomberete in atmosfere inquiete e smorzate. Tutto sarà destrutturato, ma poi si rigenererà all’improvviso per farvi innamorare delle sensazioni incessanti ed afflitte di “Blue Jesus” e della follia psicolabile di “Orco Boia”. Vi sfioreranno frammenti incompleti con “Tersilia” e vi lascerete definitivamente abbandonare al capolavoro sonoro di “Onda Dura”, in cui l’alternanza fra concretezza e indeterminazione vi regalerà impressioni malate.

A quel punto sarete inesorabilmente all’interno di una suggestione rovinosa destinata a proseguire con gli accenni blues di “Era”, potenziale saluto alla notte appena trascorsa. Sarà la presunta pacatezza di “Alba” a riaccompagnarvi a casa, ma il nastro si riavvolgerà e, non dubitate, la prossima notte sarete costretti a ripartire.

Non potrete più rinunciare a “Malacarne”.
Ora Ne siete parte .

[ intervista ]

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Musicboom.it (ottobre 2002)
Alessandro Mattiuzzo

Espressione pura
Dove può portare una strada scura, illuminata da una fioca luce rossastra che si riflette sul muro di una vecchia casa e si infrange sullla sagoma di un albero scheletrico? Che percorso può proseguire, attraverso contorni neri di abitazioni e timidi spruzzi di chiarori senza fiamma?
Il cuore di una batteria che pulsa, una chitarra fuori corda, un basso che si lamenta.

Malacarne inizia così, con un riferimento all'impersonificazione del male (Devil did) che si muove su una ossatura ansiosa come una colonna sonora lynchana. Tesa a tratti, e poi allentata.
Le prime parole, in Blues Jesus, profonde e taglienti, fastidiose, distruttrici della luce ("Io sono il male, tu una piccola luce"). Tom Waits osserva compiaciuto questi suoi italici figli che descrivono, non cantano, un disagio che è tutto personale, privato, e che forse è solo un pensiero, profondo come un mare contaminato.

E' una sorta di peccato, Malacarne, affascinante nel suo essere così privo di alcun freno, nel suo essere così puro, nel suo essere così sporco, nei suoi feedback, nei suoi riverberi. Nuova Casa è accogliente, una pausa, ma sempre sul filo, una concessione alla canzone, ma come è nel dna dei Madrigali Magri. Bellissima per questo, per il suo essere nata e vissuta così com'era. Morta su disco e portata a vita eterna da una nota di piano ripetuta all'infinito.

La riascolto: "il conto che non è mai chiuso torna a fissarti negli occhi, filtra gli interstizi tra gli istanti dei tuoi giorni, come il sole buca i muri tra i mattoni disuniti, in certe case di campagna dove il tempo va in rovina, e riapre la ferita anche quando non la tocchi; spalanchi un artico e ti perdi, nessuno sa se torni".

E' tutta qui, senza bisogno che aggiunga parola di commento alcuna. Perchè, credetemi, è veramente difficile commentare un disco dei Madrigali Magri, parlarne, descriverlo. Per me è sentimento assoluto, per qualcun altro angoscia, credo. Un disco dei Madrigali Magri è succo di Madrigali Magri, sangue versato sui solchi.

Radici di blues che escono dal nero, a tratti improvvisi, cattive, in Tersila. Il suono... il suono splendido dei Madrigali Magri. Sofferto eppure conscio della sua meraviglia. Della sua potenza. Il suono di dèi primordiali col dono della comunicazione ermetica. E del tocco di chitarra-rullante.
Una ultima concessione alla forma canzone, come intesa dai comuni mortali, è in Alba. Per un po'. Ma è qualcosa di diverso e di migliore.

Chiude il disco Bianca, che in realtà non c'è.
Non si saprà mai cosa c'è oltre quell'alba, e dove arriva la strada. E' musica irraggiungibile, come quella dei dischi passati, come sarà quella dei dischi futuri. E' espressione, pura.
(4,5/5)


[ Speciale Madrigali Magri ]

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Diradio.it (10 ottobre 2002)
Andrea Friso

Sperimentazioni crepuscolari in un lavoro che non lascia indifferenti

Esorditi nel '98 con il CD "Lische", questo trio piemontese (composto da Giambeppe Succi, Nicoletta Parodi e Valerio Rossi) propone il nuovo album "Malacarne": 36 minuti di musica borderline, fatta di sperimentazione sonora, per un ascolto certamente non facile.

Un'esperienza che non mira a piacere, a tratti disturbante, a tratti improvvisamente poetica, quasi vedendo, durante un viaggio crepuscolare, emergere qualcosa dal paesaggio, a stagliarsi sullo sfondo; attraversando spesso un territorio che sarebbe proprio del genere noise, anche se qui con strumenti musicali "classici": chitarra, basso e batteria.

Questi vengono usati in maniera rarefatta, distante. Ci sono diversi momenti di silenzio, qui quasi un quarto strumento. I pezzi sono destrutturati, volutamente (ed involutamente) svuotati, eppure non vuoti. Ho apprezzato molto i testi, lampi nel buio davvero belli. Proprio i testi rappresentano la vera tessitura su cui, poi, gli strumenti si esprimono.

Un lavoro come questo è difficile da descrivere, in quanto lascia molto spazio all'ascoltatore ed alla sua capacità di interiorizzare: molto più di altri, questo CD richiede un ascolto attento, che permetterà a chi riceve le sue vibrazioni di riempire gli spazi vuoti, con le proprie emozioni.

Da questo punto di vista è un album molto stimolante, anche se decisamente non aperto al grande pubblico. Ultima cosa: mi piacerebbe davvero scoprire i Madrigali Magri anche nella dimensione live, che sono sicuro portebbe riservare delle piacevoli sorprese.

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Noise Cafè (ottobre 2002)
Andrea Giuliani

Terzo disco per i Madrigali Magri, tutti direbbero il disco decisivo, forse, in ogni modo un bel disco, anzi un bellissimo disco di post-rock catacombale e "rurale", fatto di suoni scarni, non scarnissimi, e di un blues rarefatto che si mescola con la psichedelia dei 60', come ad esempio nel brano "Devil did"; ma fatto anche di sussurri, voce non cantata ma parlata in quasi tutti brani, come nel precedente album Negarville, una voce originale e particolare che sembra anche mostrare segni evidenti d'agonia e frustrazione repressa…e anche un po' di blasfemia, come ad esempio in "Blues jesus".

"Tersila" incredibilmente mi fa ritornare in mente i mitici Rapemen di Steve Albini e anche gli Helmet, ma il sound noise qui è svuotato e ricco di silenzi.

In pezzi come "Nuova casa" e "Alba", è recuperata nella voce un po' di melodia, grazie anche agli splendidi arrangiamenti di chitarra acustica. Il tutto è racchiuso come al solito dallo splendido artwork che arricchisce da sempre i lavori della Wallace: fotografie stupende di paesaggi rurali e stradali , notturni… non so dove questi siano, ma mi sento a casa.

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Freak Out (ottobre 2002)
Roberto Villani

Nella sua corsa alla consacrazione definitiva come etichetta "avant" per eccellenza non solo in Italia, la Wallace è già di ritorno, a breve distanza dal monumentale "Con il Corpo..." dei veterani Tasaday.

I Madrigali Magri, zona Asti, sono rispetto al combo brianzola una specie di "giovane leva" del rumore nostrano. Giunti con "Malacarne" al terzo episodio, i MM avvolgono di minacciosi nuvoloni le sperimentazioni timbriche cui A Short Apnea e i citati Tasaday (giusto per rimanere nella scuderia di Spino & soci) ci hanno svezzati, ma con un senso di tensione decisamente maggiore.

La successione di interminabili pause (quasi in ogni brano), isteriche deflagrazioni chitarristiche parenti prossime a quelle di Albini versione-Shellac (la terrificante, anche nel titolo, 'Orco Boia'), rallentamenti acustici e assalti percussivi dà la sensazione che gli strumenti del trio piemontese, come una coppia litigiosa, comincino a mandarsi affanculo per poi subito cercarsi e inseguirsi, quindi fare a cazzotti e finire per non cagarsi proprio.

Un "amo et odi" tra strumenti che non arriva mai al compimento della forma canzone, né al "pop" che lo stesso trio piemontese si attribuisce (!!), ma, come la sfocata campagna avvolta nel nero in copertina, di grande drammaticità. Già, giovane leva. O allettante promessa ?

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Music Club (novembre 2002)
di Roberto Michieletto

Un mondo in cui il vuoto si è impadronito dello spazio che ci circonda, dove il nulla si è materializzato di fronte ai nostri occhi e a noi non rimane che prenderne atto, subire tale cambiamento di prospettiva e capacitarsi del fatto che ne verremo inesorabilmente avvolti.

Ed è così che ci ritroviamo infinitamente soli. Queste riflessioni mi sono spontaneamente sorte durante l’ascolto delle nove canzoni che prendono forma e sostanza (due termini da utilizzare con cautela in tale contesto) all’interno di ‘Malacarne’, terzo disco dei Madrigali Magri.

Non so quanto tali impressioni possano aiutarvi a penetrare un lavoro che vive sospeso nell’aria, tra percussioni che sanno appesantirsi e momenti di stasi assoluta, dove neppure più si può parlare di ambient rock, ma di semplice lievitazione strumentale, però potrebbero farvi capire quale è la forza comunicativa del gruppo piemontese, che riesce così a mutare “messaggio” con ogni nuovo lavoro.

E se consideriamo che si muovono nel ristretto ambito del rock scarnificato, “jazzato” e “bluesificato”, c’è da dire che tale peculiarità fa loro onore. E se infine analizzate i testi magari scoprirete che il vuoto di cui parlavo all’inizio potrebbe anche essere il vuoto di coscienza, il vuoto sociale in cui siamo imprigionati o il vuoto esistenziale che caratterizza la vita di troppe persone.

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Rockstar (novembre 2002)
Emiliano Colasanti

Oscurità debordante inframmezzata da piccoli squarci di luce.
Al di là dalle classificazioni di genere sembra questa la miglior formula per descrivere il magma sonoro dei piemontesi Madrigali Magri al loro terzo album.

Una musica composta da sussurri e grida capace di sorprendere con improvvise aperture verso la forma canzone ( “Alba”e “Nuova Casa”) e soprattutto con una scrittura originale e per niente banale.

Una grande band.

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Musique.it (novembre 2002)
Enzo Santarcangelo

Note lunghe e ripetitive che si immergono in un mare fatto di atmosfere dilatate e rarefatte. Note che "casualmente" prendono forma e diventano, assai di rado, melodia, ancora più raramente canzone. Parole ermetiche e difficili sussurrate da una voce quasi "fuori campo". E, sotto, improvvisazione, a sostenere tutto il resto. Questo, molto in sintesi, è la musica dei Madrigali Magri, che danno alle stampe per la Wallace Records l’ottimo “Malacarne”, disco che li vede maneggiare con insolita destrezza una materia di per sé difficile quale si dimostra essere, specialmente nell’ultimo periodo, la musica d’avanguardia.

Come dei Mogwai suonati a rallentatore (sembrerà strano, ma è possibile anche questo) e meno attenti alla melodia e alla forma canzone, i Madrigali Magri ci fanno ascoltare otto brani tra cui spiccano in special modo “Blues Jesus”, con il suo andamento ripetitivo ed ipnotico, il rock iper-rallentato di “Tersila” e l’angosciante e conclusiva “Alba”.

Un lavoro senz’altro ostico, che necessita di svariati ascolti per essere compreso del tutto; ma, soprattutto, una scelta coraggiosa e autentica fino all’estremo, di quelle che, nella nostra penisola, si vedono assai raramente.

Ancora una lungimirante e sapiente scelta da parte della Wallace.

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