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speciale di musicboom.it
ottobre 2002

"Malacarme" è il terzo capitolo (e verosimilmente il migliore) dell'appassionante percorso tra l'oscurità e l'angoscia dei Madrigali Magri. Ecco a voi recensione, intervista e una rilettura dei primi due dischi del gruppo.

discografia:

Lische e Negarville
di Carlo Crudele

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Lische (autoprodotto, 1998)

Avevo sogni d'oro.
I Madrigali classe '98 sono tre ragazzi (Gianbeppe Succi, Nicoletta Parodi, Valerio Rossi) che debuttano in un mare ostile di disperazione. E' blues? Post-rock? Un ideale Spiderland nostrano? Sì, e molto altro: in primo luogo, però, è musica concepita ed asservita ad uno stato d'animo - il dolore, l'assenza, la pena - che mai come in questi solchi diventa così lacerante.
Isolami è paradigmatica, la voce della Parodi un sussurro perentorio: “isolami, manda nebbia, manda foschia, un lungo inverno, lascia che sia, isolami”. Lische è il blues più vero che possiate trovare in giro, perché anela alla solitudine, alla sofferenza, quasi al masochismo.

Poche linee melodiche per i testi di Succi, molta improvvisazione, tempi dilatati allo spasimo per una particolarissima attitudine in bilico tra pace immota e nervose frequenze: sono ancora dei Madrigali immaturi, persi in uno spleen che a volte non sanno concretizzare (accadrà invece con Negarville), ma di buono c'è almeno l'ossessione subdola di Ominide, la furia strozzata di Sognidoro ed il ripescaggio di un brano di Carver (cinico come sempre) nello sferragliare schizoide di Fosca.

A chiudere Lische, che veniva tra l'altro prodotto dal duo Cambuzat/Locardi, c'è infine Breve: un filo di speranza, che dopo tanto strazio arriva inatteso e gradito come un raggio di sole. “Rispolvererò la mia voglia di vivere… perché noi di qui ce ne andremo insieme”, dice Succi con più convinzione: e noi quasi gli crediamo, quasi aspettiamo che ci venga a prendere, lui che ha provato il dolore sulla propria pelle.


Negarville (Wallace, 2000)

Immagino che Mike Mignola sarebbe entusiasta di questo disco. Chi è Mignola? No, non appartiene al mondo delle sette note: è un disegnatore di comics americano, il cui corrispettivo italiano potrebbe essere individuato in Nicola Mari, che trova la sua cifra caratteristica nell'uso di neri opprimenti, di figure distorte, di bui intensi.
Questo, da un lato, è Negarville: un viaggio tra le sfumature di grigio, tra ossessioni inespresse di rabbia implosa; è l'urlo impotente e consumato della rassegnazione; è la staticità melmosa ed indolente dei giorni sempre uguali.

Ma è anche molto altro, Negarville: volendo ricavarne una definizione di genere, lo si può definire una sorta di blues scarnificato, mutilato della sua musicalità per dare spazio alle divagazioni ed ai silenzi che il trio inserisce con rozza eleganza ed un intuito che strizza l'occhio al teatro ed a certa avanguardia sonora. Inebriante la fusione completa che la musica di Succi e compagni ottiene con l'idea che attraversa queste note nervose: furiosi picchi di genio sono almeno Non Hai Mai Pace, l'inquietante Giorno E' Notte e la conclusiva Parti Non Mie, dal testo in bilico tra dolore e cinismo.

Negarville è una perla per pochi, dalla cui esperienza sonora si esce spossati; un gioiello che richiede attenzione e ripaga con laceranti emozioni.
E che testimonia la grande crescita, nel giro di due soli anni, della band artigiana.

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